lunedì, Gennaio 6, 2025

La Schadenfreude, come ci deforma nell’era digitale

Tra piacere colpevole e competizione digitale: come la schadenfreude sui social network svela le dinamiche oscure della nostra società e ci spinge a riflettere sul vero significato della connessione online.

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Ho immaginato come gli antichi saggi, scrittori e anche poeti, potessero spiegare il sentimento della Schadenfreude, quella complessa emozione che sembra radicarsi nelle profondità della nostra essenza, forse esistente già dalle albe dell’umanità, sin dalla rivoluzione cognitiva che ha definito la nostra specie. Da stoica quale sono, non potevo che iniziare il mio viaggio riflessivo da una figura emblematica come Seneca. Quindi, lasciate che vi conduca attraverso le riflessioni che questa indagine ha suscitato in me, ispirate dai pensieri e dalle dottrine degli spiriti più elevati che hanno mai calcato la terra.

Frasi sulle disgrazie altrui che riassumo il sentimento della Schadenfreude

  1. “Nell’arena della vita, ci sono sempre più spettatori che gladiatori; molti preferiscono il comfort della tribuna all’incertezza e al dolore dell’arena.” – Ispirato a Seneca
  2. “Le disgrazie sono lo spettacolo più popolare del teatro umano; gli spettatori affluiscono non per imparare, ma per placare quella sete segreta di vedere gli altri cadere.” – Ispirato a Michel de Montaigne
  3. “In un mondo che idolatra il successo, la caduta di un uomo diventa il conforto segreto per coloro che nascosti temono di non riuscire mai a salire.” – Ispirato a Arthur Schopenhauer
  4. “La sfortuna altrui ha il sapore dolce-amaro della vendetta non reclamata; molti brindano in silenzio alla caduta di un altro, sperando di dimenticare la propria mediocrità.” – Ispirato a Friedrich Nietzsche
  5. “La compassione si veste spesso da spettatore, assistendo alle tragedie altrui con un misto di sollievo e segreta gioia, confortati dal pensiero ‘meglio lui che io’.” – Ispirato a Dostoevskij
  6. “In ogni dispiacere altrui, c’è un’anima che brinda nell’ombra; è la bellezza nera della nostra natura, che fiorisce al chiaro di luna del dolore altrui.” – Ispirato a Charles Baudelaire

Schadenfreude: dallo Stregone del Tempo a Napoleone

Queste non citazioni, perché nessuno di loro le ha veramente scritte, avrebbero dovuto chiarivi il concetto di Schadenfreude, il termine tedesco intraducibile che indica il piacere provato di fronte alle disavventure altrui e che ha assunto nelle nostre vite digitali una nuova dimensione. Siccome non mi va di ripercorrere secoli di storia, perché credetemi ci sono tanti di quegli esempi di Schadenfreude storica, di succoso gossip, che finirei domani di elencarveli, a partire dalla gioia maligna per la festa del villaggio rivale rovinata dallo stregone del Tempo che aveva sbagliato incantesimo (Watt Smith, 2019). Alla portata di tutti (poiché abbastanza recente) troviamo la caduta di Napoleone, che sembrava infallibile agli occhi di tutti, ma non dei suoi detrattori. Chissà quanta gente tirò un sospiro di sollievo vedendolo scivolare dalla cima del mondo a Sant’Elena. Una caduta che si trasformò in quel momento deliziosamente scomodo in cui l’intera Europa fece il tifo per l’umiliazione di un uomo che, pur avendo dominato continenti, finì per conquistare solo un’isola desolata, dimostrando che in fin dei conti tutti noi siamo vulnerabili al capriccio degli dei dell’ironia.

Schadenfreude digitale

Stop, andiamo avanti! come vi dicevo, non voglio impelagami in faccende storiche anche perché, se vogliamo, con gli strafalcioni politici attuali, ci facciamo snowboard sulla Schadenfreude. In realtà, vorrei soffermarmi sulla Schadenfreude in questa era di onnipresenza digitale, un’era in cui i confini tra la sfera pubblica e quella privata si sono non solo assottigliati, ma completamente dissolti. Facebook, Instagram e altri social media, sono diventati non solo strumenti di comunicazione ma anche campi di battaglia sui quali si gioca la nostra percezione sociale, la nostra reputazione e, in ultima analisi, il nostro benessere psicologico. Questi spazi, che promettono connessione e appartenenza, nascondono nelle loro pieghe dinamiche ben più complesse e, a tratti, sinistre. X (l’ex Twitter) può essere considerato il regno della S. dove ogni errore è registrato da un’utenza patologica, i cosiddetti “raddrizza vip”, pronti a screenshottare e prendere in giro questo o quel vip per l’errore commesso sia esso di diteggiatura o di grammatica.

Questo sentimento, che vi ricordo si tratta di una forma di piacere perverso che traiamo dalle disgrazie altrui, è lungi dall’essere un innocuo sfogo emotivo; si configura come un sintomo della malattia endemica che affligge la società contemporanea: la competizione ossessiva e la costante ricerca di validazione esterna. Nel teatro dei social, la caduta di un personaggio pubblico, il fallimento amoroso di una celebrità o semplicemente la sfortuna altrui diventano materiale per alimentare non solo il nostro ego ma anche il nostro senso di rivalsa.

Ma cosa ci rivela questo comportamento sul nostro rapporto con la tecnologia e, più in generale, con gli altri?

In primo luogo, la Schadenfreude digitale smaschera la fallacia dell’utopia connettiva promessa dai social network. Lontani dall’essere spazi di pura condivisione e supporto reciproco, si rivelano arene dove prevalgono invidia, competizione e un bisogno disperato di affermazione personale.

In secondo luogo, evidenzia un meccanismo di distrazione di massa. Impegnati a coltivare il nostro piacere oscuro, a gongolare nel vedere gli altri fallire, distogliamo lo sguardo dalle questioni più pressanti che riguardano la nostra vita digitale: la sorveglianza pervasiva, l’erosione della privacy, la manipolazione delle nostre emozioni e preferenze da parte di algoritmi sempre più invasivi.

La Schadenfreude digitale funge da specchio delle nostre insicurezze più profonde. In un mondo dove il successo e il valore personale sono incessantemente misurati attraverso like, condivisioni e commenti, la caduta altrui diventa un momento di sollievo, un’illusoria conferma del nostro valore in un mare di costante confronto. Ma come possiamo riconciliare la nostra naturale propensione a trovare conforto nel disconforto altrui con l’esigenza di costruire una comunità digitale più sana e solidale?

La Schadenfreude è davvero così negativa?

La “Schadenfreude”, ovvero la compiacenza per le sventure altrui, spesso suscita un dibattito morale. La consideriamo davvero sempre un’emozione negativa? Introduco l’idea della “naturale propensione” per sottolineare che la Schadenfreude non è completamente negativa. Ci sono momenti, tuttavia, in cui tale sentimento diventa problematico. Un esempio nostrano di questo sentimento, è stato l’atteggiamento di alcuni italiani su Twitter, che hanno manifestato gioia durante l’incendio di Notre-Dame de Paris, in risposta alla derisione subita anni prima da vignettisti francesi per la gestione di tragedie nazionali, come il crollo del ponte Morandi e il terremoto di Amatrice. Questi episodi dimostrano che la Schadenfreude può assumere forme molto diverse, alcune delle quali meritano una condanna inequivocabile.

Tuttavia, è qualcosa che serve al mondo, ma non quella del web. In questo sistema che ci vuole sempre perfetti e sul pezzo, la S. ripristina l’equilibrio: criticare l’inaccettabile secondo il nostro modus vivendi, anche solo per invidia, dimostra che in realtà non siamo perfetti e non stiamo semplicemente criticando ciò che noi reputiamo imperfetto nell’altro. Lo scenario emotivo della S. è davvero vasto e non è possibile riassumerli in una serie di paragrafi. Il ghigno e le risatine malefiche che un soggetto esterna quando l’altro cade in errore, in realtà, è un potente segno di vulnerabilità.

Quel che appare come un sentimento di odio, potrebbe essere una forma di amore conflittuale e rivelare un desiderio di appartenenza. Quando veniamo messi al corrente della sfortuna di qualcuno, si fa strada la consapevolezza che non siamo soli nelle nostre delusioni, ma facciamo parte di una banda di perdenti. La Schadenfreude può essere un difetto, nessuno discute su questo, ma ne abbiamo bisogno. E forse non è esagerato considerarla una salvezza[1]. Sarebbe dunque interessante capire come cambia e come si acuisce con l’avvento dei nuovi media, così da comprendere meglio le dinamiche interne di una società nell’era della rivoluzione digitale poiché, forse, l’unico grande problema della S. attuale e la sua massima amplificazione “erogata” da internet.

[1] Watt Smith T., “Schadenfreude”  (pp.152-153)

 

Giulia Averaimo
Giulia Averaimohttps://www.psiconarrativa.it
Con una formazione accademica solida e multidisciplinare, ho conseguito una laurea in Archeologia e Storia dell'Arte seguita da un'altra in Scienze e Tecniche Psicologiche. La mia carriera si è poi evoluta nel campo del giornalismo e della specializzazione in social media. Il focus dei miei contenuti, riguarda la psicologia dei social media e delle dinamiche di gruppo online. Il mio approccio unisce rigorosa ricerca accademica con applicazioni pratiche.

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