Nel labirinto della vita moderna, dove l’identità è spesso in crisi, sorgono domande profonde sulla nostra essenza e sul nostro destino. La tentazione di ritirarsi nel passato o di rimodellare incessantemente i ricordi è una trappola che può portarci lontano dal nostro vero io. In questo contesto, la teoria della ghianda di James Hillman offre una lente alternativa attraverso la quale considerare l’unicità dell’esistenza umana.
Secondo Hillman, ogni essere umano possiede una natura intrinseca e unica, paragonabile a una ghianda che si sviluppa in una quercia con radici e rami distinti. Al centro di questa teoria c’è il concetto di “daimon”, un’immagine interna che guida lo sviluppo individuale in una forma unica e predestinata. Il “daimon” non è semplicemente un costrutto psicologico; piuttosto, è una metafora dell’essere che richiama la necessità di ascoltare la voce interiore che ci guida verso il nostro autentico destino.
Questa concezione sfida il narcisismo moderno e la frenetica ricerca di un sé costruito dall’esterno. Invita invece a una riflessione più profonda e meditativa sull’esistenza, dove l’identità non è qualcosa da creare, ma piuttosto da scoprire.
La ghianda custodisce il “Daimon”: ha il compito di distribuire il nostro destino
Il concetto di “daimon” si infiltra sottilmente nel dialogo contemporaneo come un’eco lontana, spesso fraintesa e trascurata nel vortice incessante della modernità digitale. Questa antica nozione, nata nel cuore della filosofia greca, ha un significato profondamente diverso dalla sua controparte moderna, il “demone”. In origine, il “daimon” non era un’entità malevola, ma un dispensatore di destini, un architetto silenzioso della vocazione umana.
Nella cultura ellenica, il “daimon” si poneva come ponte tra il divino e il mortale, guidando gli uomini non attraverso comandi imperiosi, ma attraverso sottili sussurri e fugaci intuizioni. Socrate, con il suo iconico riferimento a una voce interiore, alludeva a questo “daimon” come a un consigliere morale, una guida delle azioni umane verso il bene.
In netto contrasto con il ritmo frenetico e la superficialità delle interazioni contemporanee, soprattutto quelle mediate dai social media, il “daimon” rappresenta un richiamo all’autenticità. Hillman, riprendendo questo concetto, sottolinea l’insostituibile unicità di ogni essere, un’unicità che si manifesta attraverso talenti e vocazioni personali. Questa prospettiva contrasta con l’omogeneità e la ripetitività che pervadono la società attuale, invitando invece a tornare a un’esistenza più radicata e significativa. Riscoprire e coltivare la propria natura intrinseca è un viaggio verso l’autorealizzazione che supera la superficialità e le distrazioni del mondo moderno.
Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo “qualcosa” lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono.
Non veniamo al mondo all’interno di gusci vuoti
Nel viaggio dalla nascita alla maturità, la metafora della ghianda che si trasforma in quercia offre una profonda visione dell’essenza umana. Questa immagine, lungi dal suggerire un’entità vuota da plasmare, implica invece una preesistenza di h e potenzialità. La ghianda non è un semplice guscio vuoto; è una fonte concentrata di energia vitale, il codice segreto di un futuro albero maestoso.
Allo stesso modo, fin dalla nascita, l’essere umano non è una tabula rasa ma una complessa combinazione di predisposizioni, passioni e potenzialità. Questa prospettiva contraddice la nozione di identità puramente costruita e malleabile. Il discorso di Hillman mette in evidenza il concetto della “teoria della ghianda”, che suggerisce che ogni individuo porta dentro di sé un sé prenatale, contenente le energie fondamentali per l’amore, le emozioni e l’esperienza umana. Questo sottolinea l’importanza di riconoscere e coltivare la nostra unicità intrinseca in un’epoca standardizzata e riproducibile. La teoria ci incoraggia a guardarci dentro e a riscoprire e nutrire il nostro nucleo originario, che dà forma al nostro destino e alla nostra essenza autentica, piuttosto che formare la nostra personalità solo attraverso esperienze esterne e influenze culturali.
Come spiega Hillman:
Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o un disegno, che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo, e crediamo di essere venuti vuoti. E’ il daimon che ricorda i contenuti della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.
Nella nostra esistenza, il potenziale con cui siamo nati viene spesso dimenticato, nascosto sotto strati di costruzioni sociali e culturali. Questo oblio del nostro sé originario ci porta a costruire e ricostruire la nostra identità. Per riscoprire questo sé primordiale, per seguire il nostro “daimon” verso la piena realizzazione come una quercia simbolica, è necessario un ritorno alle nostre radici, un viaggio a ritroso nel tempo fino all’infanzia. Qui, nei recessi della memoria, risiedono gli interessi, le passioni e i talenti puri, liberi dai pregiudizi e dalle costrizioni dell’età adulta.
Questo ritorno all’infanzia non è un passo indietro, ma piuttosto un approccio meditativo per superare le barriere psicologiche che ostacolano il nostro sviluppo autentico. Scoprire e coltivare i nostri talenti innati è essenziale per la nostra crescita e la nostra ramificazione.
La quercia è l’albero della vita.
Nell’immaginario collettivo, la quercia non è solo un albero ma un simbolo potente. Nel simbolismo celtico dell’Albero della Vita, la quercia rappresenta una profonda connessione tra i mondi, un ponte tra lo stato prenatale e il nostro potenziale futuro. Simboleggia non solo la nascita ma anche la rinascita: una forza primordiale che persiste attraverso le tempeste della vita, la capacità di superare le avversità e di compiere il nostro destino intrinseco.
Infine vi lascio con una frase di Rolly May:
“Quando la vita è ridotta alla semplice sopravvivenza e nient’altro ha significato, rimane ancora una libertà fondamentale, la libertà di scegliere il proprio atteggiamento verso il destino. Tale scelta probabilmente non cambierà il destino, ma cambierà sensibilmente la persona”.
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Fonti:
- istitutohoffman.it
- psiche.org
- online-psicologo.eu
- “Il codice dell’anima” James Hillman